MARMOLADA VIA SOLDA CONFORTO
Marmolada - Parete Sud Ovest
Si attacca, un po’ a destra del centro della parete, un camino-fessura di 40 metri, obliquo verso sinistra, dopo il quale e nella stessa direzione si superano due salti, quindi una fessura strapiombante, dapprima diritta e poi volgente a sinistra. Raggiunto un terrazzino, si sale ancora obliquamente a sinistra per un’ altra fessura strapiombante, fin sotto alcune placche liscie (30 metri). Superate queste direttamente, un caminetto verso destra porta ad una cengia, lunga una quindicina di metri, che si percorre tutta fino all’ estremità destra. Qui un lastrone appoggiato alla parete forma una fessura leggermente obliqua a destra; per questa, fin sotto un soffitto che si aggira a sinistra per un tratto strapiombante, si arriva ad un terrazzino. Una fessura strapiombante e liscia porta ad un altro terrazzino; poi ancora una liscia fessura, che finisce in una specie di spuntone dalla sommità piatta. Dallo spuntone ci si cala di un metro, per poi traversare verso sinistra una placca levigatissima di 5 metri fin sotto un canalino strapiombante di circa 40 metri, che va superato direttamente ( estreme difficoltà - chiodi ). Quindi, per rocce liscie si raggiunge la cengia situata a circa metà parete (ore 12). Fin qui, eccettuati gli ultimi 20 metri del canalino, arrampicata libera. Dopo una sosta, attacchiamo direttamente le rosse, strapiombanti, levigate pareti che si ergono sopra la cengia, sotto forma di un grande e problematico diedro. A 20 metri circa dalla cengia troviamo due chiodi con moschettone che segnano il limite raggiunto. Qui cominciano le maggiori difficoltà, che continueranno ininterrotte fino a circa 60 metri dalla vetta. Salendo direttamente per il diedro giallo, ci innalziamo di circa 60 metri sopra la cengia ( estreme difficoltà ) , finchè sopraggiunge la sera. Scendiamo allora a corda doppia fino alla cengia, e su questa bivacchiamo per la prima notte.
Il giorno dopo troviamo non poco vantaggio in quei 60 metri già preparati, dato il successivo tratto (circa 40 metri) sul diedro giallo, che non offre un attimo di riposo neppure per i piedi. Sotto continui enormi tetti ( specialmente sulla parete di sinistra ) riesco a portarmi obliquamente 40 metri sopra e 20 metri più a destra del compagno, dopo aver piantato numerosi chiodi per la scarsezza assoluta di appoggi. Conforto, che fa sfoggio di una resistenza ammirabile, mi raggiunge in una posizione faticosa e difficile. E’ questo l’ unico posto dove si può poggiare un piede quasi interamente e manovrare la corda. Proseguo per una ventina di metri su placche liscie. Dalla cengia fin qui siamo stati impegnati a fondo. E’ già sera, e non siamo capaci di trovare un posto che offra la minima possibilità di bivacco. Ritornare alla cengia significherebbe rinunciare alla salita. Conforto fa precipitare un masso di circa 4 - 5 quintali, in bilico su una piccola cengia. Ma questa si rivela troppo inclinata e liscia, per cui tentiamo di salire un’ altra decina di metri. Sono circa le 19, allorchè raggiungiamo un luogo dove è possibile sostare in piedi. Una traversata di 10 metri verso destra su rocce liscie mi costa mezza ora di strenua e vana fatica. Dobbiamo quindi adattarci a passare la notte in quello scomodissimo luogo, legandoci e sospendendoci alle corde con anelli e staffe. Nel secondo giorno di grandi fatiche, favoriti dal bel tempo, abbiamo guadagnato circa 60 m. di altezza oltre il limite raggiunto il giorno precedente. Intanto, nel cuor della notte si leva un forte vento, con indizi di temporale. Dopo tanto lavoro, è tutt’ altro che incoraggiante pensare che l’ impresa può venir compromessa, tanto più che un ritorno si presenta assai dubbio. In poco più di un mese sono al nono bivacco, in cinque nuove ascensioni di VI grado; e questo è il peggiore, e sulla più difficile salita.
La tanto attesa luce del giorno ci trova con le gambe spezzate dal disagio e intirizzite dal freddo. Un vento gelido e forte ci irrigidisce in tutti i movimenti. Per fortuna, nella traversata liscia avevo lasciato una corda fissa. Con i guanti, lungo questa, raggiungo il termine della traversata, dove è possibile sostare sulla punta dei piedi e sciogliere un po’ i muscoli scaldati dalla ginnastica sulla corda. Il compagno mi segue. Ceduto a questi il riposo dei piedi, continuo verticalmente per un diedro strapiombante e liscio, alto 10 m. dove in un’ ora di faticosa manovra posso piantare 3 chiodi nei primi 5 m. Ridiscendo alla base e mi riposo, sostenuto dalla corda. Conforto è intirizzito dal freddo e vorrebbe prendere il comando della cordata, ma le manovre sono impossibili per la scomodità del posto. Mi innalzo ancora e tento di piantare altri chiodi, ma mi affatico invano per 20 minuti; temo di dovere ritornare; ridiscendo e mi riposo ancora. Mi innalzo fino al posto di prima, mi attacco con grande decisione a piccoli appigli, e, premendo con larghissima spaccata sulle labbra dello strapiombante diedro, con grande fatica riesco a passare. Per 8 metri procedo ancora diritto, arrivando ad un piccolo camino che si innalza obliquo a destra. Traverso nuovamente a destra per 10 metri fin sotto un salto di roccia nera, per 40 metri fortemente strapiombante. Questo è il primo vero punto di riposo dopo un giorno e mezzo di arrampicata dal luogo del primo bivacco. Sostiamo mezz’ ora. Il tempo si mantiene rigido e per di più comincia a nevicare. Temiamo per il temporale. Sopra al salto strapiombante ha inizio un camino che ci porterebbe giù una grande quantità di sassi e acqua. Decidiamo perciò di salire in fretta. Il forte strapiombo di 40 metri viene superato in 4 ore di grandi sforzi. Sormontato lo strapiombo, ha inizio il camino, che però offre minore verticalità. I primi 20 metri vengono saliti molto in fretta (passaggio di 5° grado); poi, contrariamente alle apparenze, troviamo il fondo coperto di ghiaccio, sul quale non è possibile avanzare. Esco quindi a sinistra in parete levigata e strapiombante, dove posso fare scarsissimo uso di chiodi. Qui, con le forze superstiti, nonostante la neve che scende sempre più fitta, supero passaggi estremamente difficili in libera arrampicata ( impossibile di piantare chiodi ). Fortunatamente, in un luogo dove non avrei potuto resistere più di un minuto, trovo da piantare un chiodo non del tutto sicuro, ma sufficiente per poter riposare. Ne pianto un altro, e poi riparto ancora in arrampicata libera. Le pareti del camino, estremamente levigate, costringono di nuovo a superare difficoltà estreme sempre in libera arrampicata. Ma siamo ormai alla fine. Ancora un tratto ( meno difficile ), e usciamo dall’ orrida parete, a breve distanza dalla vetta.
Questa parete è senza dubbio più difficile per difficoltà tecniche, e specialmente per continuità delle difficoltà stesse, della parete Nord della cima ovest di Lavaredo, via Cassin Ratti, che ho ripetuto con l’ amico Carlesso qualche giorno prima. Altezza della parete: circa 550 m. Chiodi usati, 70. In tutto ore 36 effettive di arrampicata. Difficoltà estreme (VI sup).
Prima ascensione: G.Soldá e U.Conforto 29-30-31 Agosto 1936.
Autore G.Soldá
Marmolada - Parete Sud Ovest – Prima Ripetizione
Nel 1949, anno della morte di Conforto, avvenuta in febbraio, Mario Stenico e Marco Franceschini partirono all´attacco della via, ben pressati da una fortissima coppia francese, Marcel Schatz e Jean Couzy, che si apprestava a fare altrettanto. Nei giorni 7 ed 8 agosto essi compirono l´impresa. Dal racconto di Mario Stenico, qui sotto, si evince che parecchi tentativi furono fatti da alpinisti rimasti sconosciuti nei tredici anni trascorsi dalla prima apertura della via.
Rifugio Contrin....Viene a salutarci Francesco Dezulian, il gestore del rifugio, simpatico e forte, si siede al nostro tavolo e si informa sul nostro programma per il giorno dopo, via ferrata o parete sud. ´´Parete SO´´ risponde Marco. Egli si alzo´ lentamente, si allontano´ di qualche passo, dicendo ´´Bene bene´´ come non avesse compreso, poi si giro´ di scatto e si precipito´ su di noi ´´Ho capito bene? Volete andare sulla via Soldá?´´ ´´Si, ha compreso benissimo, intendiamo fare la prima ripetizione´´. ´´Giovanotti´´ disse allora Dezulian squadrandoci dall´alto in basso e osservando particolarmente la esile figura di Marco ed il bicchiere di latte che teneva in mano ´´ Ricordatevi che facce piú belle delle vostre hanno dovuto ritornarsene, ed anche prima di arrivare alla cengia. Tuttavia, se proprio volete provare il gusto...A che ora volete essere svegliati?´´ Sono le quattro di domenica 7 agosto, quando la vera avventura, fisica e psicologica, comincia per noi....i primi passi su per il ripido ed interminabile sentiero che sale al Passo Ombretta...un grande desiderio di abbandonare tutto ...con il corpo e la mente liberi da ogni fardello e da ogni problema...ma poi guardiamo la montagna nel suo momento piú bello...ci affrettiamo all´appuntamento. Siamo pronti. I primi tiri di corda si svolgono per ripidi balzi di roccia non difficile, ma arrampichiamo ancora con movimenti impacciati, lentamente. Dobbiamo anche pulire la neve dagli appigli e siamo turbati dai numerosi cordini che testimoniano le sconfitte degli alpinisti che ci hanno preceduti....Ora tocca a Marco superare una fessura formata da un alto lastrone staccato dalla parete, quindi un´altra fessura piů ripida e difficile, finché raggiungiamo un piccolo terrazzino ed anche l´ultimo cordino....gli chiedo cosa vede piú in alto, la risposta tarda a venire, infine ´´Solo enormi lastroni inaccessibili.´´ Lo raggiungo e provo anch´io un senso di sgomento...una sosta prolungata diventerebbe psicologicamente pericolosa...con un colpo di martello taglio quell´ultimo dannato cordino che sembrava beffarci e dire ´´Rinunciate finché siete in tempo.´´ Scartiamo senza esitazione una invitante traversata a destra, che ci porterebbe su un lontano spuntone....salire diritti peggio che mai. Guardiamo la relazione della via, ma questa non fa che accrescere l´incertezza, non riusciamo ad individuare il punto dove ci troviamo. Credevo di conoscere tutto sulla via, ma mi accorgo di ignorare il passaggio che conduce alla famosa fessura, che consente di raggiungere la cengia. Eppure dovavamo averlo sotto il naso, meglio cercare con calma. Ed ecco, osservando attentamente a sinistra, vedo una parvenza di appoggi, ma niente o quasi per le mani, comunque, se esiste un passaggio, é da questa parte. Incomincio ad attraversare lentamente, ma dopo alcuni metri uno spuntone rivolto in basso risolve il problema. La superficie ruvida offre una aderenza perfetta al palmo apertodella mano destra, che mi permette di raggiungere, con la sinistra, un vecchio chiodo...sporgeva in modo preoccupante, ma era piegato tanto da appoggiare sulla roccia, posso fidarmene tranquillamente, traverso ancora, raggiungendo un comodo terrazzo posto alla base di una lunga e stretta fessura, che sale strapiombando fino alla rocce sporgenti che precedono la cengia. Finalmente. Quella fessura, che dal basso non si vedeva, ora é qui davanti a noi togliendoci ogni apprensione. Pochi minuti dopo Marco é al mio fianco, affronta da par suo la fessura, la supera in breve tempo, trovando lungo il percorso tre vecchi chiodi, eccolo, ha raggiunto la cengia. La cengia. Una cosa meravigliosa, un´ampia sporgenza, posta nel cuore della parete, che attraversa quasi tutta, riparata da grandi strapiombi, e coperta da una fine ghiaia, che ti invita a sdraiarti, ed a sognare a occhi aperti. Riordiniamo le nostre idee, ci guardiamo intorno con occhi ed animo diversi. Sono circa le quattordici, conviene proseguire, anche se questo non ci permetterá di uscire dalla parete senza bivacco, attrezzando il diedro che incombe sopra di noi, poi scendere a bivaccare sulla cengia, come aveva fatto Gino Soldá. Il diedro, di quel colore giallo caldo cosí caratteristico delle Dolomiti, é inciso da una fessura strapiombante e levigata, un tiro di corda faticoso, e sbocca in una angusta nicchia. Poi si trasforma, per un´altra lunghezza di corda, in un camino relativamente inclinato e non tanto difficile, che termina sotto un piccolo tetto. Un chiodo posto al limite di questo mi facilita l´uscita. Ora posso vedere tutto il tratto superiore, é veramente impressionante.... Grandi blocchi sovrapposti e strapiombanti formano la seconda parte del grande diedro, scorgo anche l´inizio della traversata che porta sotto l´alto salto di roccia bagnata. Ora comprendo pienamente quali fossero la forza d´animo e la forza fisica dell´amico Gino, che, affacciandosi per primo su quella ciclopica ostile architettura, non ebbe esitazioni, e con fulminea rapiditá ne ebbe ragione. Devo ora spostarmi verso destra, percio faccio salire Marco, in modo da evitare che le corde facciano troppo attrito, giro uno spigolo, e trovo ancora tre chiodi, grazie ai quali riesco a salire rapidamente per alcuni metri. Fermo su una piccola mensola mi arrabatto per piantare un chiodo in una fessura dall´aspetto invitante, ma dopo tre, quattro colpi di martello, essa si apre con un suono sinistro.... Come ho portato a termine questo tratto? Proprio non lo so, é andata e niente piú. Per oggi basta cosí, d´altra parte non vedo alcuna possibilitá di bivaccare. Forse, dopo la traversata sotto le rocce bagnate, ma se poi...? No, no, con questo dubbio meglio non proseguire. Con vari chiodi collegati da un cordino, ottengo un discreto ancoraggio per la corda doppia. Vi fisso anche una estremitá del cordino, che serve per tirare su il sacco, Marco ne blocca l´altra ai suoi chiodi di assicurazione, vi aggancio un moschettone, per evitare che la roccia molto strapiombante mi spinga in fuori durante la discesa e raggiungo Marco. Ancora due calate, lasciando l´ultima corda per facilitare la risalita il giorno dopo, e siamo sulla cengia. Il sole sta tramontando, abbiamo il tempo per ispezionare questo grande spalto che si protende nel vuoto, e per costruire un muretto che ci ripari dall´aria fredda del primo mattino. Notte insonne e tormentosa, siamo pervasi da un senso di inquietudine, di angoscia. Spesso ripensiamo alle parole di Dezulian... il dubbio, l´incertezza sulle nostre possibilitá ritorna ad insinuarsi in noi. Sta per nascere il nuovo giorno, un livido e freddo giorno, che sembra giá sul finire. Una fitta ed umida nebbia ha coperto la montagna, riusciamo appena a vederci, scaldiamo qualcosa e ripartiamo. Ecco le corde, si vedono i primi metri, poi scompaiono nel nulla. Saliamo veloci, raggiungiamo la fine del cordino, ora prosegue Marco. Sono tre lunghezze di corda su roccia infida, pericolosa, e richiedono lungo tempo. Dei chiodi che é riuscito a mettere in quel marciume, molti li levo con le mani. Piove, lo si sente dal sommesso fruscio sulle rocce a destra del diedro, per il momento siamo al riparo, poi si vedrá. Finalmente Marco raggiunge l´inizio della traversata. E´ una grande placca liscia, costellata da punti bianchi... un monito evidente, le scariche di sassi lasciano il loro segno. Questo enorme lastrone é inciso da una fessurina orizzontale discontinua, nella quale entrano parte delle dita, i piedi vanno tenuti appoggiati con tutta la pianta. E´ quasi un tiro di corda che richiede una razionale impostazione, per ripartire lo sforzo su tutti e quattro gli arti. Ha smesso di piovere, ma la roccia é bagnata e limacciosa. Marco inizia a traversare, con quelle sue lunghe braccia e lunghe gambe sembra un ragno, non va veloce, ma progredisce con continuitá. Si ferma, dicendo di avere raggiunto l´inizio di un corto diedro, molto svasato e strapiombante, lungo cui ha scorto un chiodo, é certo che esso porterá sotto il salto bagnato. E´ pomeriggio piuttosto inoltrato, ora dobbiamo proprio uscire dalla parete a qualsiasi costo, un ritorno sarebbe pieno di incognite, un bivacco sotto ad una cascata d´acqua significherebbe... Marco attacca il diedro arrampicando sui bordi estremi, sale senza piantare chiodi, non é piú lo stesso uomo che due giorni prima aveva dovuto metterne due sul diedro Duelfer al Catinaccio d´Antermoia. La corda ora scorre veloce, e infatti quando raggiungo Marco, trovo una vera gradita sorpresa: una serie di gradoni coperti di detriti, che con facilitá portano sotto la cascata, dalla portata imprevista. Come quasi tutti gli itinerari della Marmolada, anche questo sbocca in un profondo e levigato canale, che, quando non é bloccato dal ghiaccio, convoglia le acque superiori, e questa volta si aggiunge anche la fusione della neve caduta due giorni prima. Speriamo di poterle evitare in un modo o in un altro, ma non é possibile, tuttavia Marco non vuole rassegnarsi, si riposa un poco, poi sale a sinistra, su roccia strapiombante, ma dopo essersi alzato con l´aiuto di alcuni chiodi, per sei, sette metri, si lascia andare stremato, ed io lo calo lentamente al punto di partenza. Egli mi dice di non sentirsi in grado di affrontare la cascata, e mi fa la proposta di aspettare la sera, in modo che il freddo riduca a sufficienza la portata. Tento di spiegargli con calma che cosí facendo, quel giorno, e forse mai, ne saremmo usciti...perché sicuramente il ghiaccio ci avrebbe bloccati nel canale, e sono io invece a proporgli l´unica soluzione che mi sembra logica, spogliarsi fino alla cintola, mettere gli indumenti nel sacco, per ritrovarli asciutti quando finalmente ne saremmo fuori. Marco mi guarda come se fossi impazzito e con decisione risponde ´´No, no´´. Ma io senza replicare metto in atto il mio proposito, mi carico il sacco sulle spalle, cosí mi proteggerá almeno la schiena: tolgo a Marco chiodi e moschettoni e con decisione affronto la cascata. Avverto una oppressione quasi insostenibile, respiro con difficoltá, tanto che temo di dover desistere, ma dopo alcuni metri ho la fortuna di mettere alla cieca le mani su un chiodo, quindi su un secondo e cosí via: quest´ultimo prezioso regalo dei primi scalatori mi infonde nuove forze e mi dá la certezza che riusciro´ a superare la dura prova. E infatti, due ore dopo, sono in ginocchio sull´orlo del salto all´imbocco della gola finale. Non sento freddo, non sento la fatica, sono soltanto felice, tanto felice. Far salire Marco non é un problema, metto una corda fissa, lungo gui risale a braccia, tanto con l´acqua é diventata rigida sbarra di ferro. In breve mi é vicino, raggiante di gioia. ´´Ce l´abbiamo fatta Marino´´. Per un tratto la gola, dopo quanto abbiamo superato ci sembra quasi pianeggiante, poi di colpo si erge, levigata e bagnata: il tratto ci impegna fortemente, ma ancora alcuni chiodi lasciati ci risparmiano energia e tempo. Siamo fuori...una rampa detritica conduce alla vetta, che folate di aria fredda annunciano imminente. Eccola, tutta bianca, bellissima, risaltare contro il blu intenso del cielo... é il momento meraviglioso, che tutti gli alpinisti conoscono e vivono... Ascensioni con Gino Soldá di Bertoldi Ing.Franco – Tamari Ed. Bologna 1980
Ancora sulla Parete Sud Ovest della Marmolada :
Gino Soldá:
….Più sopra, una serie di faticosi strapiombi; roccia dura, liscia, dove i chiodi entrano a fatica, e dove è possibile procedere solo lavorando molto di appoggio con i piedi piantati contro la compatta parete. Talvolta il chiodo si leva improvvisamente, e allora, con un sussulto, giù di un paio di metri, colla speranza che almeno il chiodo inferiore tenga saldo…. Poco piacevoli certo questi voletti a 300 metri da terra, con questi chiodi così poco sicuri ! ….…. Mi sento bene allenato e procedo senza soste anche sui tratti piuttosto duri, ove la scarsezza di appigli consiglierebbe di procedere almeno con un minimo di assicurazione . Tanto grande era il desiderio di scoprire i segreti della parete, che non esitavo a passare senza piantare chiodi anche là dove capivo che il passaggio era al limite delle mie forze, ma avrebbe ceduto solo con uno sforzo estremo della volontà. Capivo, mentre vincevo una dopo l’altra le difficoltà, di essere pervenuto finalmente a quello stato di preparazione spirituale, e quasi di grazia, in cui si comprende perfettamente sin dove possono giungere le nostre forze; anche se ero convinto che, trovandomi a così grande distanza dal compagno per il procedere veloce della salita, in caso di caduta nessun miracolo avrebbe potuto salvarci dalla catastrofe. Solo così forse si comprende come io e Conforto, senza conoscere la via e senza trovare nessun segno, fuorchè un chiodo all’attacco, si sia potuto raggiungere il bivacco dei nostri predecessori in due sole ore di arrampicata….Scalatori - Hoepli Milano 1952
Sandro De Toni:
Via Soldà-Conforto VII 650 m. Maurizio Giordani, nel suo libro "Marmolada - Parete Sud, la parete d´argento´´ introduce la via sostenendo che Soldá vi si avventuro´ senza essere all´altezza delle difficoltà che avrebbe incontrato. Non so se le cose stanno in questi termini. Io trovai la via bella e impegnativa, con lunghi tratti senza chiodi fino ad 1/3 di parete e fessure ben chiodate nelle sezioni difficili (talvolta i ferri sono poco visibili perché piantati in fratture esterne rispetto alla linea di salita). Incredibili i camini dopo la cengia: 6b+/6c in camino! Movimenti da serpi, da lombrichi, da lucertole, in una parola animaleschi (con uno zaino sulle spalle, poi...). Conclusi i camini e dopo un tiro in obliquo a destra (V+), si deve attraversare nettamente a destra (anche scendendo - non ci sono chiodi) fino alla base di una fessura (1 chiodo - necessario fare sosta). Si sale la fessura e la successiva rampa per più di 50 m. (se si hanno corde corte è meglio utilizzare la sosta intermedia che si incontra salendo) fino ad arrivare all'ultimo tiro duro (molti chiodi). Mi bruciai la libera perché arrivai al penultimo chiodo senza più rinvii e dovetti fermarmi per recuperare pezzi più sotto (a dire la verità, il passo era duro: il riposino mi fece proprio bene). Insidiosi i camini terminali: all'ultima sosta ci piombo´ addosso una scarica. sandrodetoni.com
Sandro De Toni:
Ripetuta la via due settimane dopo che lo hanno fatto gli autori del precedente commento: via in ottime condizioni (un po' bagnata la fessura finale) e abbastanza ben chiodata (anche se per lo più con chiodi Soldà-doc). Libera su tutti i tiri (un resting per me all'ultimo passo del tiro finale). Incredibile l'effetto di 10 giorni di secco! Quanto alla via, un viaggio "oltre le porte della percezione, a testimonianza del ´´pelo´´ dei nostri nonni. Il diedro giallo dev´essere ripetuto in tre tiri. Non ci sono soste per una ripetizione in due tiri. planetmountain.com 23 settembre 2003
Stefano Zordan:
Loro si che erano pionieri! ci tenevo a ripeterla visto che Gino era un mio paesano. planetmountain.com 4sett2008
Giampaolo B.:
Un altro mondo rispetto a Punta Rocca e alla parete d'argento: il sole arriva tardi e il vento soffia freddo dalla val Rosalia. La roccia non è un gran che ed i tiri più duri sono normalmente bagnati. Un calo termico ed il colatoio finale si trasforma in un toboga di ghiaccio. Chapeau agli apritori! planetmountain.com 26 luglio 2009
Alessandro Gogna:
…Soldà tenne sempre il comando della cordata, con la scusa che non si poteva fare manovre di corda: Conforto più tardi dimostrò, con l’altro compagno di Soldà, Franco Bertoldi, di possedere anche lui grandi doti di capocordata. La salita ha termine al buio, la sera del 31, dopo una delirante lotta con gli ultimi camini ghiacciati… Sentieri Verticali - Zanichelli Editore
Cesare Maestri:
Sulla via Soldà Conforto, aperta il 29 - 31 agosto 1936, Cesare Maestri ha compiuto, il 3 – 4 ottobre 1953, la prima ascensione solitaria. Egli annota: …Qui non si tratta di salire, ma di non cadere…Sento il piacere di arrampicare coi miei soli mezzi. Vorrei urlare al mio compagno che arrampico senza chiodi, e sono libero… Rivista CAI 1955
Gianni Saltamacchia:
Nell'estate più asciutta degli ultimi decenni abbiamo trovato la via molto bagnata già dal diedro sottostante la prima cengia e praticamente fino in vetta.Ciò è stato forse dovuto alla fusione del ghiaccio presente internamente alle fessure per le alte temperature di quest'estate.Ne è conseguita una arrampicata molto sofferta e per niente divertente in presenza anche di una chiodatura non così abbondante da permettere una facile progressione in artificiale e non così sicura da potervi fare affidamento.La roccia non può essere peraltro definita "bella" perlomeno se confrontata con le altre vie della parete.In compenso la linea di salita è bellissima e la via merita di essere percorsa per rendersi conto di quanto forti erano gli arrampicatori dell'epoca.planetmountain.com 11 Settembre 2003
Toni Hiebeler:
Stavamo lá seduti ad un tavolo, parlando di argomenti professionali e progettando le nostre salite. Soprattutto quella della parete Sud-Ovest della Marmolada, la cui via Soldá é da annoverarsi fra le piú difficili salite delle Dolomiti. Al tavolo vicino sedeva un signore anziano che affettava con somma cura da un salame fettina su fettina, inaffiando il pasto con lente sorsate di vino rosso. Quel signore dal viso solcato di rughe, dalla pelle simile alla pergamena, ci disse all´improvviso che egli era in grado di darci buoni suggerimenti per la parete che volevamo salire. Dovetti sembrargli un po´ settico, perché preciso´: Sí,sí, fate pure la parete sud-ovest. E´ bensí piú ardua del Pilastro Sud, ma molto meno pericolosa! Il Pilastro Sud della Marmolada é conosciuto in tutti gli ambienti alpinistici per la sua arditezza, e per questo il vecchio signore comincio´ ad interessarmi. ´´Lei conosce il Pilastro Sud?´´Sí, l´ho fatto ventinove anni fa´´. La frase era stata pronunciata dall´uomo tranquillamente, come se egli avesse parlato di un suo antico amore, e giá affettava di nuovo il salame. ´´ Ma come si chiama, per favore?´´. Il vecchio ci guardo´ con un viso indifferente, ma i suoi piccoli occhi brillavano. Prese un sorso di vino, ripose il bicchiere, disse brevemente: Micheluzzi. Prese un altro sorsetto, Luigi Micheluzzi disse ancora. Poi continuo´ a gustare il salame ed il vino. Mi ero irrigidito. Senti, senti, il grande Micheluzzi, il quale vinse nel 1929 per la prima volta quel pauroso pilastro, che aveva compiuto tante altre vie nuove e non amava mai parlare di sé stesso!. Chiesi a Micheluzzi come mai i quarti salitori, i tedeschi Stoesser e Fritz Kast avessero potuto supporre d´essere stati i primi e perché lui, che era stato il vero primo non avesse mai replicato. Luigi Micheluzzi racconto´ come, effettuata la salita, gli fosse sempre pesato sulla coscienza di avere battuto ben sei chiodi nella parete, cosa mai fatta prima! Che per questo aveva pensato di non menzionarla mai. Per questo sesto grado viene usato al giorno d´oggi un numero di chiodi almeno dieci volte superiore!. Tra cielo e Inferno - Bologna 1970
Wikipedia.org:
Il celeberrimo itinerario di Gino Soldá ed Umberto Conforto sale invece il lato sud-ovest di Punta Penia. La via non é stata interamente aperta dai due alpinisti vicentini ma la parte iniziale, fino alla grande cengia mediana é frutto di due infruttuosi tentativi di Bruno Detassis e Ettore Castiglioni che si fermarono alla prima cengia. Molti sostengono che Soldá e Conforto rubarono letteralmente la via ai due alpinisti ma c´é da dire che questi ultimi due impiegarono due tentativi, di cui uno durato tre giorni, per raggiungere stremati la cengia, mentre Soldá e Conforto, ignorando il loro tragitto impiegarono poco piú di due ore per ripercorrere il medesimo tratto di parete (secondo le parole dello stesso Soldá, che avrebbe letteralmente corso, arrampicando al limite della sicurezza). Oggi giorno la Soldá-Conforto é una classicissima via delle Dolomiti con difficoltá piuttosto alte, attenuabili da numerosi tratti in artificiale. Anche per questa via si presenta lo stesso problema del colatoio finale che puo´ presentarsi ghiacciato. Lo sviluppo é di 700 metri con difficoltá di VI e A2 UIAA (o VII- in libera sulla “parete nera”.